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Vision

Neighbourhood, radice di Dancebourhood, è nel suo senso più ampio un territorio, una dimensione, un ambiente confinante. Sento la danza essere una zona di confine tra visibile ed invisibile: il movimento origina da una coscienza poetica, amplificata, sospesa ed invisibile, e si manifesta oltrepassando confini, attraversando corpi morbidi, coscienti, elettrici, sinuosi, urgenti, improvvisati, coreografati, liberi.

Sono affascinata dall'umanità del movimento come dialogo poroso ed intermittente tra corpo, mente e coscienza amplificata.

Sotto-mondi di pulsioni, sensazioni, intuizioni intrudono l'attualità del corpo che sente, muove e convoglia senso, senso umano in movimento.

Coreografato ed improvvisato, visibile ed invisibile, sinuoso e nervoso sono spazi attraverso i quali muoversi, polarità necessarie al mio pulsare creativo.

Credo in una danza che sia un apparire ed un dissolversi di necessità opposte, tracce di sé.

Dancebourhood è quindi un mio modo di sentire e convogliare senso, un mio modo d'essere… in movimento.

Laura Della Longa: la mia storia

Avevo 6 anni, quella stanza a casa di miei era chiusa, ma la chiave era sempre lì. La stanza era verde con un vecchio specchio che era una porta verso “qualcos'altro”. Ero solita andare lì per sparire, no spazio, no tempo, no pensiero, tutto spariva semplicemente premendo il pulsante play. La musica dava il via al mio viaggio, questa danza improvvisata, intuitiva.
Mi ci sono voluti anni per imparare forme, la danza formale, la classica, il jazz, l'hip hop, ho viaggiato in molti paesi per vedere, ricercare, studiare, poi in Germania incontrai la danza contemporanea e mi innamorai della sua libertà.
Ma torniamo alla stanza verde a casa dei miei, la mia miglior amica Anna mi invitò al suo saggio, lei frequentava la miglior scuola di danza a Udine, la mia piccola città vicino Venezia.

Vidi danzatori professionisti, emozioni, fui rapita da ciò che usciva dai loro corpi ed entrava nel mio. Andai in quella scuola, ero timida, piccola, una ex-ballerina professionista, Bianca Walcher, mi diede le parti importanti in tutti i balletti.
Presto mi misero in una delle classi migliori, saltai 3 livelli. A quel punto i miei compagni di danza e di scuola cominciarono ad odiarmi, io non avevo migliori amici perché giocavo con tutti, e amavo stare per conto mio.
Un giorno tutti i compagni di classe mi volevano pestare, ricordo mentre uscivo dalla classe, erano tutti lì ad osservarmi, camminai lentamente tra di loro, calma, guardandoli negli occhi, con una paura dentro che loro non percepirono e nessuno mi toccò.

Avevo 17 anni, erano già 11 anni che danzavo, ero al mio terzo anno di liceo classico quando l'idea di andarmene mi balenò in mente. Ricordo che dissi a mia madre: “Mamma voglio andare a Milano a studiare danza.”. Lei pianse perché sapeva che avevo deciso di diventare un'artista e non di lavorare nel suo negozio.
Mia madre ha un gusto squisito, ancora lavora nella suo negozio di bomboniere, e suona ancora il piano quando le và. Mio padre, generale dell'esercito italiano, morì quando avevo 12 anni, fece la seconda guerra mondiale in Libia, e fu imprigionato per 7 anni in India, lui era molto più anziano di mia madre, ma giocava come un bambino con me e Marcello, mio fratello maggiore.

Così andai a Milano, studiai con una magnifica insegnante francese, Syvie Meugeolle, e andai a Roma l'anno seguente dove terminai il liceo. È stato difficile studiare latino, greco, fare lezioni di danza ogni giorno, lavare i miei vestiti a mano, pulire… ma stavo danzando!!!
Finito il liceo andai in Francia per diventare un'insegnante di danza, andai dall'icona del Jazz , Serge Alzetta.
Presto compresi però che volevo essere una ballerina, Serge mi aveva scelto per la sua compagnia, tutto questo mi spinse ad andare oltre.

Andai a Parigi, stavo studiando con un'insegnante di colore, americano. Fui catturata dalla sua energia e percezione della danza differenti, compresi che gli americani avevano un approccio alla danza più aperto, così dissi: “Mamma vado a New York!”. Avevo 20 anni, mi iscrissi all'università di Lingue e Letterature straniere di Udine e poi partii.

Arrivai allo Steps Studio di New York, piansi, non riuscivo nemmeno a seguire il riscaldamento, le lezioni erano veloci e difficili. Alcuni mesi dopo mi offrirono una borsa di studio, studiai con la mia icona Milton Myers, con Max Stone, e con i migliori insegnanti che secondo me c'erano in città.

Dopo 6 mesi rientrai in Europa passai tre esami universitari e cominciai a fare audizioni e ad insegnare.

Un giorno mi chiamò Dahlia, la mia amica italiana incontrata a New York: avevano bisogno di una ballerina in più per uno show televisivo in Croazia. Andai per l'audizione, ma una volta lì il coreografo se ne andò. Sapevo di non essere pronta, ma entrata nello studio televisivo sentii la grande opportunità e proposi a Denis Latin, il giornalista che conduceva lo show, di fare coreografie solo per una puntata, in modo che lui vedesse il mio lavoro. Lui accettò e più tardi mi diede un contratto, una stanza in hotel, e un'ottimo compenso. Mi sentii completa, ero la nuova coreografa, creavo 4 coreografie a settimana, duro lavoro!
Quell'estate andai in Portogallo per un progetto di danza in Algarve, ballavamo ogni sera, il posto era diverso, mare, sole, tanti colori. I Portoghesi sono bizzarri, un giorno un ragazzo mi chiese di assaggiare il gelato che stavo mangiando, leccò il mio gelato e mi disse : “buona notte e sognati gli angeli!!” Lì mi innamorai di un set designer tedesco, Stephan, che mi invitò a Colonia.
La germania rappresentò un grande cambiamento, avevo 25 anni. Incontrai la danza contemporanea, ero incantata dall'icona del Tanztheater, Pina Bausch, e dalla complessità del suo lavoro, i suoi danzatori potenti ed intimi usavano la voce, il movimento e contenuti forti. Poi ero stufa di essere la ballerina jazz carina e sexy dei programmi televisivi tedeschi. Ballavo, coreografavo e lavoravo come traduttrice alla fiera di Colonia, quando mi sposai con Kais, un ragazzo speciale, come scordarsi della nostra prima casa di 40 metri quadrati, il piccolo specchio sul muro, avevo 3 metri quadri per creare i miei lavori di danza. Vinsi poi il primo posto al concorso di danza regionale NRW, mi sentii alla grande, sopratutto perché avevo deciso di vincere. Assurdo ma quando lo decidi prima, ti impegni in modo diverso e raggiungi ottimi risultati.

Presto sentii il desiderio di approfondire gli studi della danza contemporanea e partii per Londra, in realtà feci la mia audizione per l'istituto Laban a Berlino, avevo 32 anni. Quel giorno avevo la febbre e la notte sognai di un uomo che veniva da me e mi diceva che non ero stata scelta. Il giorno seguente, l'uomo che avevo sognato venne da me dicendomi che ero stata presa, wooow!!!
Gli studi alla Laban cambiarono la mia percezione della danza, mi diedero strumenti vitali per espandere il mio modo di coreografare. Laban, pioniere della danza contemporanea in europa, sviluppò molte teorie che Rosemary Brandt, Melanie Clark, Valery Preston Dunlop, insegnanti meravigliose, mi insegnarono. Rosemary mi fece ripensare al movimento in ogni suo dettaglio. Sfortunatamente la mia urgenza di libertà mi fece scappare pure da lì, non sono mai stata una studente facile.
Così arrivò la performance finale alla Laban, ballavo in 8 progetti e quella notte mio fratello Marcello guidò attraverso la Manica e mi portò ad Arnhem in Olanda. Viaggiammo tutta la notte perché non c'erano voli o treni disponibili e io avevo l'audizione per il master di coreografia il giorno seguente.

Eravamo 10 candidati e c'erano solo 3 posti, avevo dormito solo 2 ore e all'intervista ero l'ultima. Mi stavo addormentando e dissi a me stessa, posso convincerli in 15 minuti. Così, come al solito, fui molto diretta e dissi loro che avevo cose da dire, altrimenti sarei rimasta in silenzio, non avrei danzato, crerato, ricercato, così mi presero!!!
Bene, questa fu un'esperienza dolceamara,volevo liberarmi della mio vecchio modo di coreografare, volevo creare il mio nuovo linguaggio, e per questo un grande ispiratore fu il dott. Kent De Spain, PhD in improvvisazione solista.
Il programma Master “Dance Unlimited” guidato da Joao Da Silva, spingeva gli artisti verso l'originalità, l'essere unici, complessi, forti. Mary O'Donnell, un'artista innovativa degli anni ‘70, mi diede una visione immensa e brillante ispirazione. Lei conosceva personalmente Merce Cunningham, questo famoso artista postmoderno, attraverso di lei ho compreso in modo diverso il lavoro di lui ed anche la mia danza.
La mia tesi finale fu espressione del mio cambiamento: “La Danza: un dialogo poroso tra corpo, mente e coscienza amplificata”. La mia danza divenne sintesi di ciò che la mente decide di eseguire, di ciò che il corpo si sente si eseguire, e di ciò che la coscienza amplificata intuisce e fa entrare nel danzatore. Avevo 37 anni e dopo 20 anni in giro per il mondo, mia madre si ammalò, non volevo perderla e tornai in Italia era il 2008.

Combattei contro tutto e tutti ed ora, nel 2018, lei sta bene. Aprii SpazioCorpo Atelier danza e movimento a Udine nel 2012, ho preparato con successo 9 studenti di talento, così sono stati tutti ammessi in accademie di danza nazionali ed internazionali. Ora dopo aver insegnato per 10 anni, sono qui a scrivere e a ripensare, pronta per il cambiamento.
Ultimamente sono stata terribilmente ispirata da un grande pittore e curatore d'arte Sergio Gomez e sua moglie la psicologa Dott.sa Janina Gomez, mi stanno aiutando a riemergere attraverso la loro piattaforma online per artisti artnxtlevel.com
Sono anche immensamente ispirata da una piattaforma di social network che dal 1959 rappresenta una nuova filosofia e stile di vita perfette per le persone fuori le righe, che vogliono differenza. Qui si amplia la mente, si aiutano persone, si condividono risorse mondiali per vivere secondo standard di pensiero più elevato.
La mente crea la materia, Platone e le ultime ricerche scientifiche dicono lo stesso: il nostro pensiero crea la nostra realtà. Bene, in questo network ho incontrato pensatori e sognatori incredibili: GianPaolo e Manuela Battello, Stefano Pidalà, Patrizia Narduzzi, Deborah de Sabbata.
Cosa dire, alla fine sono qui, sono una viaggiatrice tra mondi ai quali non appartengo, e mi piace ancora dissolvermi attraverso quel vecchio specchio nella mia stanzetta verde.

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